C’è stato un periodo, a Palermo, in cui il centro storico profumava di anice, carruba e caffè. E quest’anno, che per la città è quello della cultura per eccellenza, voglio raccontare tre storie di famiglie che, ciascuna nel proprio settore, hanno segnato usi e costumi dei palermitani, custodendo e tramandando un sistema di saperi che certamente è entrato a far parte del bagaglio culturale della città. Oggi come allora. Perché tutte e tre le aziende sono rimaste esattamente nello stesso luogo, nel raggio di meno di un chilometro l’una dall’altra, a segnare un antico triangolo produttivo nel cuore della città, dando vita a quella singolare mescolanza di storia e tradizione, imprenditoria e lungimiranza che solo certa tempra di siciliani sa avere.
Nel 1813 la famiglia Tutone aveva una bottega in piazza Rivoluzione, ai tempi denominata piazza della Fieravecchia. Lì si vendevano bicchieri di acqua e anice. Questa mistura, in origine era nata per disinfettare l’acqua grazie alle proprietà medicali dell’anice che veniva custodito in una ampolla. Ai palermitani piacque il suo sapore rinfrescante e diventò una bevanda.
La prima generazione dell’azienda fa capo a Giuseppe Tutone, chimico e grande conoscitore delle erbe della Via della seta, sebbene la storia dell’acqua e anice abbia avuto inizio con Lorenzo Tutone, di professione acquaiolo, che già nel 1778 aveva una drogheria con un laboratorio nel quale faceva i suoi esperimenti e un chioschetto nella piazza nel quale vendeva i rinfrescanti bicchieri. Il laboratorio, negli anni, è diventato meta di pellegrinaggio da parte dei nobili palermitani che andavano a dissetarsi all’uscita dal vicino Teatro Santa Cecilia.
Per le strade di Palermo era frequente sentire la classica abbanniata – il grido dei venditori – “H2OZ10”, ovvero “acqua e anice, 10 lire al bicchiere”.
In realtà l’anice unico della famiglia Tutone, così chiamato per differenzialo da tentativi di imitazione, contiene altre dieci essenze segrete, così segrete che un solo Tutone per generazione conosce questa ricetta, gelosamente custodita in cassaforte.
La mossa vincente di questa famiglia è stata quella di trasformare in bevanda una miscela di acqua e anice che era nata, in prima battuta, per tutt’altro scopo e che, nel giro di pochi anni, è diventata tipica di Palermo. Non a caso il logo dell’azienda raffigura il Genio di Palermo ma non quello di piazza Rivoluzione, come sarebbe facile pensare, bensì quello di Villa Giulia perché questa statua è l’unica che raffigura tutti gli elementi che rimandano alla città.
Oggi a reggere le sorti dell’azienda, che negli anni si è spostata di pochi metri, trasferendosi in via Garibaldi, sono Alfredo e Riccardo Tutone, rispettivamente presidente e vice presidente, sesta e settima generazione della famiglia, padre e figlio. Nel tempo l’attività si è ampliata, diventando una spa e trovando spazio anche per altri prodotti come il limoncello o l’amaro, ma l’anice è sempre il fulcro di tutto il lavoro. Tra uffici e produzione, l’azienda impiega una decina di persone e l’anice unico Tutone ancora oggi viene distribuito in tutta Italia con circa centomila bottiglie vendute ogni anno.
In occasione dei 200 anni dalla nascita dell’azienda, è stata creata una bottiglia celebrativa – ne esistono solo mille esemplari – che riprende una vecchia pubblicità degli anni 60 che portava in etichetta la scritta zammù – come i palermitani chiamano l’anice – e recitava così: “d’inverno riscalda, d’estate disseta”.
Nel tempo l’anice è stato (ed è ancora) un ottimo correttivo per il caffè, aroma per biscotti, può essere miscelato nel tè o utilizzato per correggere l’acidità dei cocktail, qualche chef lo usa in piatti a base di pesce e i pasticceri nelle torte alla frutta. Ma se nella calura dell’estate siciliana volete rinfrescarvi, basta versarne poche gocce in un bicchiere d’acqua, proprio come duecentocinque anni fa.
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