Mentre il centro storico di Palermo era in grande fermento, di gente e di affari, la zona a nord ovest della città, più tranquilla e ricca di verde, diventava meta ambita dalle famiglie aristocratiche, desiderose di luoghi più freschi e silenziosi. Nella “Piana dei Colli”, corrispondente al quartiere Resuttana – San Lorenzo, tra il Settecento e l’Ottocento, vennero edificate numerose ville (molte ancora oggi esistenti), attorno alle quali si sviluppò, poi, l’economia della zona. Sono circa otto i chilometri che separano questo quartiere dal centro città, sufficienti a farlo considerare come “periferia”. Eppure qui hanno sede alcune tra le più importanti attività imprenditoriali cittadine che, come quelle del centro storico raccontate qui, qui e qui, custodiscono e tramandano un sistema di saperi che è entrato a far parte del bagaglio culturale della città. Ecco un’altra storia della Palermo che merita di essere capitale della cultura.
Novantadue anni ben portati, con la competenza che da sempre li contraddistingue, che per i clienti è la rassicurazione più preziosa, insieme con una instancabile energia e la voglia di stare sempre al passo con i tempi. La salumeria Armetta di via dei Quartieri a Palermo, quest’anno celebra i novantadue anni dalla sua apertura. Salumieri dal 1926, recita l’insegna, con un plurale che rende omaggio a papà Totò che per primo la volle proprio lì, nel cuore del quartiere San Lorenzo e oggi al figlio Gino, che la porta avanti con competenza e dedizione.
“Tanti anni fa questo quartiere era come un paese: tutti si conoscevano, si salutavano, scambiavano quattro chiacchiere”, racconta Gino.
La zona tra via dei Quartieri e via San Lorenzo, a Palermo, era una specie di famiglia allargata. La piazza aveva la funzione ben definita di ospitare le botteghe e quanti desideravano passeggiare osservando le vetrine o facendo qualche acquisto. C’erano la merceria, il fruttivendolo, il macellaio, qualche negozio di abbigliamento, la farmacia, le salumerie. Gino Armetta torna indietro nel tempo, e ricorda quando in via dei Quartieri “si prendeva un caffè con gli amici, si facevano incontri”. Oggi di quei negozi storici ne sono rimasti solo tre, incluso il suo.
Sull’onda di questo amarcord, racconta di quando, ragazzino, proprio non ne voleva sapere di stare a bottega col padre Totò che, invece, lungimirante, lo lasciava studiare durante la settimana e il sabato pomeriggio lo obbligava a stare al negozio per imparare il mestiere.
A guardarlo armeggiare oggi con i salumi e i formaggi prelibati che fanno capolino dal bancone del suo negozio, proprio non si direbbe che qualcuno, un tempo, abbia dovuto costringerlo ad imparare questo mestiere. Perché Gino Armetta questo lavoro ce l’ha proprio nel sangue.
Oggi, dopo più di quarant’anni passati dietro a quel bancone della sua salumeria, al civico 6 di via dei Quartieri, a pochi passi dalla piazza di San Lorenzo, afferma con fierezza di essere figlio d’arte: “mio padre ha aperto questo negozio nel 1926 e da allora ci siamo solo spostati da un marciapiede all’altro”.
Gino Armetta è uno di quei bottegai nobili che staresti ad ascoltare per ore mentre ti racconta di questo o di quel prodotto. E la nobiltà è tutta insita in quel suo modo di fare cultura e qualità quando ti propone un formaggio, in quel suo continuo cercare di specializzarsi che lo ha portato, insieme con la moglie Teresa, con la quale condivide instancabilmente passione e impegno quotidiano, a diventare prima professionisti dell’Onaf, l’Organizzazione nazionale assaggiatori di formaggi, quindi, primi in Sicilia, assaggiatori professionisti di salumi dell’Onas.
“Nella vita – dice – se si può, bisogna fare quello che fa piacere. Io sono fortunato perché il mio lavoro mi piace e cerco di non fermarmi mai”. Così, con lo stesso entusiasmo di quando ha cominciato, oggi che ha passato la sessantina, dopo sei giorni trascorsi in bottega, quando può dedica la domenica alla ricerca dei prodotti di qualità. Va in giro per la Sicilia a scovare quei piccoli produttori che, anche loro, “con il loro lavoro quotidiano, fanno cultura del buon formaggio”.
I siciliani sono i suoi preferiti ma i confini dell’isola, se si parla di qualità, possono stargli stretti. E se, come fanno molti suoi clienti, gli chiedi un consiglio su cosa acquistare e ti lasci guidare, può capitarti di assaggiare un pecorino affinato in barrique con erbe aromatiche che è una poesia o un sorprendente formaggio al malto d’orzo e whisky prodotto con tre tipi di latte che può essere un egregio fine pasto.
Lui, con pazienza, ti lascia degustare, ti spiega per filo e per segno cosa stai assaggiando, come è fatto, come puoi abbinarlo. “Cerco di lavorare in sintonia con i clienti – dice – di capire cosa desiderano, quanto vogliono spendere. Poi faccio assaggiare i prodotti che ho selezionato e li racconto”.
Del resto, non è un caso che il suo locale, che la Camera di Commercio di Palermo ha certificato come Negozio Storico, sia stato anche insignito di numerosi riconoscimenti da Slow Food come Locale del Buon Formaggio.
“A Palermo – dice con un po’ di rammarico – di salumerie tradizionali ne saranno rimaste una decina. Oggi c’è la grande distribuzione organizzata, ci sono i centri commerciali che hanno sostituito le vecchie piazze di quartiere. La cosa positiva è che, rispetto a tanti anni fa, i produttori mettono molta più cura e molta più attenzione in quello che fanno e la qualità dei prodotti, soprattutto dei formaggi, è senz’altro migliorata”. Quelli buoni, puliti e giusti nei quali si imbatte, finiscono dentro al suo bancone.
Dallo scorso anno, poi, dopo un piccolo restyling, nella bottega di Gino e Teresa si sono fatti spazio due banchetti ideali per le degustazioni che ciclicamente organizzano. Qui si tengono anche corsi di approfondimento su formaggi e salumi e, recentemente, anche sul vino, per cercare di portare avanti in maniera esaustiva la loro opera di divulgazione.
Sempre da qui, grazie al lavoro entusiasta ed instancabile di Teresa, è partita l’idea – ed anche una raccolta di firme – di trasformare il quartiere San Lorenzo nel Borgo San Lorenzo ai Colli, per custodirne l’identità culturale, non essere più considerati periferia tra le periferie e fare ritrovare alla zona identità e fiducia. Se non è fare cultura questo…
Liberamente tratto da questo articolo pubblicato su cronachedigusto.it.
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